ALICE
o
L'ASPIRAPOLVERE
Alice aveva voluto quanto Michael
quella piccola, romantica casetta in montagna. Con amici e parenti aveva
accampato le più varie motivazioni, infervorandosi con passione e trasporto.
L’aria buona per i bambini, la pace, il silenzio, la montagna senza la
schiavitù della macchina e altro ancora che, con grande fantasia, si inventava
al momento. Un giorno era riuscita anche a dare una spiegazione pseudo- psicanalitica, meravigliandosi da
sola. Gli altri la guardavano rapiti. Almeno all’inizio. Pensavano: “Accidenti
che fortuna trovare un posto così!”. Solo un loro amico, per la verità non
senza interesse, in quanto proprietario di un bell’albergo proprio nel paesino
prescelto, disse che con i soldi spesi avrebbero potuto andare in vacanza in
albergo, per un bel numero di anni. Da lui, era sottinteso.
Insieme avevano dedicato ogni momento alla sistemazione
della casa. Prima mesi di cantiere e poi pulizie e ancora pulizie. Durante la
settimana gli artigiani lavoravano e nel fine settimana Alice e Michael
pulivano e rimettevano in ordine. La casa fu pronta velocemente e abitata ogni
sabato e domenica. Durante le vacanze di Natale, quelle di Pasqua, a carnevale,
ai Santi, durante le vacanze estive, meno tre settimane di mare a cui Alice non rinunciava. Trascorrevano ogni giorno libero nella casa in montagna.
L’appartamento in città era relegato ai giorni feriali.
Trascorrervi un weekend era quasi una punizione. Alice sbrigava le cose di ogni
giorno, meno uscire per la spesa e la domenica sera si sentiva frustrata ed
insoddisfatta. Michael girava come un leone in gabbia, rompendo le scatole a
tutti. Voleva dedicarsi a lavoretti tralasciati da tempo, ma doveva arrendersi
all’evidenza dei fatti. Il trapano era nell’altra casa e anche la maggior parte
degli attrezzi che avrebbe dovuto usare. Ogni tanto Michael metteva il naso
fuori dalla finestra e incominciava una litania senza fine: “Guarda che aria
sporca e senti che puzza. Guarda un po' se dobbiamo respirare questa schifezza.
Non capisco perché la gente deve andare in giro con la tuta da ginnastica. La
città mi fa venire i nervi. Qui non mi riposo. Non c’è niente da fare. Le
montagne sono troppo lontane e poi quelle non sono nemmeno montagne... bla,
bla, bla”. Una giornata snervante.
I loro figli avevano un atteggiamento differente. Il più
grande, in età da ragazzine e hamburger, discuteva sul suo diritto di
partecipare ai party organizzati dagli amici. Sempre di sabato, dal pomeriggio alla sera. Più cresceva e
più l’orario si allungava. Era una bella battaglia. Alice era rimasta molte
volte in cittá aspettando il figlio festaiolo, per poi raggiungere l’altro
pezzo di famiglia, partito subito dopo pranzo. Andava a prenderlo, puntuale e
giá si sentiva la madre che rompe. Trovava suo figlio Robert stravolto,
scamiciato, sudato e con i segni della Coca Cola sulla bocca, come i baffi di
Aramis. Alice pensava alla preoccupazione nel giorno in cui avrebbe trovato un altro
tipo di tracce. Robert saliva in macchina e per dieci minuti raccontava, senza
prendere fiato, tutte le battute e gli avvenimenti significativi della festa,
poi crollava per svegliarsi novanta chilometri dopo e ricadere nel sonno sotto
il piumino.
Sophie era come suo padre, aspettava con ansia il sabato.
La ragione principale era che lassú c’erano i suoi adorati animali: cani,
gatti, cavalli, conigli, papere, mucche e anche jak. Per lei il genere umano
poteva anche sprofondare, ma ... salvate gli animali! Per Sophie l’unico uomo
meritevole di ricevere il premio Nobel era Noè. Recupereremo mai il torto
fattogli?
Domenica mattina, dopo una lauta e viziata colazione,
Alice si metteva all’opera. Tirava fuori il vecchio aspirapolvere. Era così
vecchio che la ditta aveva cessato la produzione dei sacchetti di carta. Alice per infinite volte l‘aveva svuotato aiutandosi con l’uncinetto, riempiendosi il
naso di polvere e recuperando una trentina di pezzi di Lego, qualche elastico,
una noce e cinquanta lire. Si chiedeva spesso se ve ne fossero ancora in giro di
funzionanti o se il suo era l‘ultimo sopravvissuto. Comunque andava ancora.
Beh, rantolava, più che altro. Ad Alice venivano da gonfiare le guance per
aiutarlo, in un impeto di solidarietà. Quando Michael passava vicino, lei ad
alta voce diceva “non tira! “oppure non va!”. Michael tirava dritto,
indaffarato, tuttalpiù lanciava un distratto “hai cambiato il sacchetto?”
“Accidenti, quale sacchetto?” urlava Alice, proseguendo
con “dovremmo comprarne un’altro!”
“In questa casa c’è sì un sacco, ma di polvere!”
Michael si girava a guardarla, faceva una bella fatica con
quell’accidenti di aspirapolvere intasato e rantolante. Avrebbe dovuto proprio
comprarne un altro. Poi si ricomponeva: “Non sia mai che dia ragione alla bieca
logica del consumo. Il motore funziona bene. Mica ne compro un altro per
accontentare una multinazionale! ”