venerdì 26 ottobre 2012


La mia parola è Stupore. Ha un suono forte nella prima sillaba STU, come un colpo, una porta che sbatte,  e un suono dolce nelle seconde PORE, un suono quasi aspirato. Stupore, sempre qualcosa mi stupisce. I colori della natura come l'ignoranza degli uomini, le parole d'amore come le parole della cattiveria. Mi stupisce lo sguardo di ogni età, la sincerità dei bambini, la saggezza dei vecchi. L'arroganza dei potenti, la sensibilità di alcune anime, il pudore, la vergogna, l'orgoglio. Il pianto di disperazione, il pianto di felicità. Mi stupiscono le bugie e le verità. Il rumore dell'acqua, il canto del vento, il fruscio del mare calmo. La grana fine della sabbia, la superficie delle rocce. L'ultimo fiore aggrappato alla montagna, il cadere lento della neve. Mi stupisce la pioggia incessante, il tuono improvviso, il ritorno del sole. Che bella parola lo stupore. La prendo per me.

martedì 16 ottobre 2012

Michael a Solda

Qualche anno fa Michael Jackson arrivò a Solda. Rimase tre giorni, aveva un piede ingessato e camminava con le stampelle. Così si vide poco in paese. Soggiornava in una grande casa tutta di legno a poca distanza dalla mia. Vi confesso che il pensiero mi emozionava. Si fece curare dalla dottoressa del paese, senza fare storie. Andò a cena in un ristorante del paese, mangiò pesce. Calmo, timido e silenzioso. L'anziano cameriere ricorda le sue mani, "così rugose, così da vecchio, con la pelle così sottile e fragile", mi disse. La grande star, l'uomo da trattato di psichiatria, con tutte quelle paure, quelle fobie, quelle manie, sapeva essere un uomo mite, tranquillo, gentile. Avrei voluto incontrarlo e parlargli, non osai, mi tenne lontana la sua solitudine. Ciao Michael, sei un tassello dei miei ricordi più teneri.

giovedì 11 ottobre 2012

Hullygully d'Oriente


Herat, Afghanistan 1972
La famiglia di Azam Nazubkin è molto numerosa. Non riesco a capire chi sia la moglie, chi i figli, quali i nipoti. Vivono tutti insieme in una bassa casa di mattoni di terra cotti nei forni a cielo aperto sparsi per tutto l’Afghanistan. Io sola posso vedere i volti delle donne e avere il grande onore di mangiare con gli uomini, seduta sul grande tappeto. Si mangia „mantoo“. Ancora oggi ha nostalgia del nome e ancora il sapore di carne, spezie e yogurt sulla punta della lingua. Dopo cena mi fanno accomodare in un’altra stanza, cortesemente, ma senza possibilità di replica. Non ci sono mobili, solo tappeti e cuscini lungo le pareti. Piccoli quadri e un calendario sono appesi ai muri irregolari. Le donne si guardano complici e ridono. C’è musica e mi mostrano divertite i loro balli tradizionali. C’è molta allegria. Ad un certo punto mi invitano a ballare, vogliono vedere come si balla in Italia. Mi sento all'istante una scema senza radici, non  so ballare una danza tirolese, nemmeno una tarantella. Vestita come un'afghana, tra grandi risate, ballo il più disperato, imbarazzato e solitario Hullygully della mia vita.