martedì 28 maggio 2013


Prenotare e stare in fila




Disneyland, Paris. 
Le parole d’ordine sono fondamentali: P R E N O T A R E  e  S T A R E  I N  F I L A .
Si prenota tutto ed è la prima cosa di cui mi avvisano appena arrivo, dopo aver prenotato il volo e l’albergo. Può sembrare ovvia la prenotazione di un tavolo per la cena. Lo si fa anche nella propria città. All’affollato banco „Reservation„ mi chiedono con voce flautata per che ora desidero prenotare la prima colazione. Dalle sette ogni mezz’ora un turno. Considerato che vado in vacanza senza sveglia, inizio a indentificarmi con i forzati. La mattina seguente assisto al turno seguente, che divora il buffet come un'ondata di locuste africane. La differenza è nelle briciole rimaste. Le locuste non avrebbero avuto pietà. I turisti sono minimamente educati.
L’albergo è dotato di una bellissima piscina, ogni comfort, scivolo e idromassaggi, ma per che ora voglio prenotare? Mi perdo in calcoli sulla stanchezza delle masse.
Nonostante la prenotazione mi ritrovo in fila. Più corta di quella di coloro che non hanno prenotato, ma sempre e comunque in fila. Sono talmente abituati ed organizzati a gestire code che, con appositi cartelli, molto gentilmente, danno i tempi di attesa: „Da questo punto 30 minuti di attesa“. O 60 o 15 o 90. Così uno sa come passare il tempo. Posso, tenendo stretto il posto, ammirare il paesaggio, indovinare la nazionalità delle persone dall’abbigliamento o cercare di decifrare le scritte della T-shirt del metro e novanta norvegese davanti a me. Imparare le lingue è sempre un vantaggio. Posso imparare il nome di una carrozzeria di Trondheim o una parolaccia. Fa sempre parte del bagaglio culturale. Le attrazioni durano in media quaranta secondi. Sono attimi che lasciano meravigliose code nella memoria.

venerdì 24 maggio 2013

Disneyland, Paris 1997



Una signora bionda e molto grassa si accomoda con la sua famiglia al tavolo accanto al nostro. Una coppia con due bambini. Dal mio posto riesco a vedere l’uomo, anonimo, un po' in carne e molto stempiato. Una camicia a quadri è tutto il colore che ha. La bambina alla sua destra è piccola, forse ha tre anni, è carina e abbronzata. La signora e l’altro figlio mi voltano le spalle. Noto il colore diverso dei capelli, della pelle ma l’assoluta somiglianza della struttura fisica. Osservo che, nonostante queste diversità di colori, si vede proprio che sono madre e figlio. Arriva un cameriere ed il bambino si gira verso di lui. Ha caratteristiche somatiche di un’altra etnia.
Cosa può fare una perfetta adozione alimentare. 

giovedì 9 maggio 2013

Herat, 1973



Il dottor Rashid ha i capelli neri e un dritto naso indoeuropeo. Si da da fare come può in questo ospedale cadente e poverissimo. Sui pavimenti delle stanze vi sono tappeti che non hanno più memoria dei colori originali e che da secoli nessuno pulisce. Il suo paziente europeo è abbastanza mal ridotto. Un piede con le ossa spezzettate, un gesso messo a occhio da un compagno di viaggio e molto dolore. In ospedale non vi sono medicine, chi ne ha bisogno deve andare pazientemente a cercarle nelle farmacie sguarnite della città. Il dottor Rashid si occupa personalmente della ricerca e torna con alcune fiale di morfina. A sera, per far riposare il suo paziente gli inietta mezza fiala; con aria sconsolata guarda quel ben di Dio, si inietta l’altra metà e resta a parlare con lui tutta la notte.