Herat,
Afghanistan 1972
La famiglia
di Azam Nazubkin è molto numerosa. Non riesco a capire chi sia la moglie,
chi i figli, quali i nipoti. Vivono tutti insieme in una bassa casa di mattoni di
terra cotti nei forni a cielo aperto sparsi per tutto l’Afghanistan. Io sola posso vedere i volti delle donne e avere il grande onore di mangiare con gli uomini, seduta
sul grande tappeto. Si mangia „mantoo“. Ancora oggi ha nostalgia del nome e ancora il sapore di carne, spezie e yogurt sulla punta della lingua. Dopo cena mi fanno accomodare in
un’altra stanza, cortesemente, ma senza possibilità di replica. Non ci sono
mobili, solo tappeti e cuscini lungo le pareti. Piccoli quadri e un calendario sono appesi ai muri irregolari. Le donne si guardano complici e ridono. C’è musica e mi mostrano divertite i loro balli tradizionali. C’è molta allegria. Ad un certo
punto mi invitano a ballare, vogliono vedere come si balla in Italia. Mi sento all'istante una
scema senza radici, non so ballare una danza tirolese, nemmeno una tarantella. Vestita come un'afghana, tra grandi risate, ballo il più disperato, imbarazzato e solitario Hullygully della mia
vita.
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